Brodsky a San Michele

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Iosif Brodskij stava cenando al fresco con due amici da Raffaele, una vecchia trattoria in riva all’acqua sulle Fondamenta delle ostreghe. era l’inizio dell’estate, non il periodo dell’anno che Brodskij era solito trascorrere a Venezia. 

Iosif Brodskij stava cenando al fresco con due amici da Raffaele, una vecchia trattoria in riva all’acqua sulle Fondamenta delle Ostreghe. Era l’inizio dell’estate, non il periodo dell’anno che Brodskij era solito trascorrere a Venezia. 

 

Gli piaceva venire nella “stagione morta”, quando le calli vuote erano inondate di una luce invernale ultraterrena e l’odore delle alghe gelate gli ricordava il Baltico. Ma quell’anno aveva accettato l’invito di una fondazione locale, di essere ospitato per sei mesi come writer-in-residence nell’elegante Hotel Monaco, a poca distanza da Raffaele.

A tavola con lui quella sera c’erano i suoi due migliori amici a Venezia: Robert Morgan, un artista americano, e Girolamone Marcello, un corpulento conte veneziano con una corta barba grigia e le borse sotto gli occhi, che viveva da solo al piano nobile dell’antico palazzo di famiglia nei pressi della Calle dei assassini. Erano uno strano terzetto.

Morgan si divertiva a raccontare come avesse presentato Brodskij a Marcello. Un giorno stava prendendo un caffè con Brodskij da Nico, alle Zattere, quando vide Marcello che camminava con il suo passo strascicato sul lungomare. Gli fece un cenno. Marcello si avvicinò, trasse a sé una sedia libera dal tavolo vicino e si sedette per fare due chiacchiere nel tepore del sole. Di un’ignoranza abissale – come lui stesso ammetteva – quando si trattava di poesia moderna, Marcello non aveva idea di chi fosse Brodskij. Ma notò una pila di giornali pieni di ghirigori e scarabocchi accanto alla sua tazzina di caffè.

«È un giornalista?» chiese.

Brodskij emise un grugnito.

«Un romanziere?».

«Noooo…»

«Allora è un poeta?»

Brodskij si strinse nelle spalle e lentamente diede la schiena a Marcello, prendendo a fissare le navi che percorrevano in un senso e nell’altro il canale della Giudecca. Contrariato dal comportamento burbero di Brodskij, Marcello se ne andò via subito.

Brodskij tornò a Venezia l’inverno successivo. Un giorno lui e Morgan stavano passeggiando lungo le Zattere e si imbatterono di nuovo in Marcello. Si sedettero tutti e tre a prendere un caffè da Nico. Era una bella giornata e gli stabilimenti di Marghera erano in bella vista, con i loro pennacchi tossici che svolazzavano nel cielo occidentale. Le sostanze chimiche stavano avvelenando la laguna; ma all’epoca i residenti locali stavano peggiorando le cose scaricando prodotti chimici dalle case direttamente nei canali. Brodskij iniziò una tirata, accusando i veneziani di distruggere l’ambiente in cui vivevano. Marcello gli assicurò che lui in casa sua usava solo prodotti speciali, non inquinanti. Brodskij disse che non gli credeva. Marcello lo invitò a verificare di persona.

Qualche giorno dopo a Palazzo Marcello si sentì suonare il campanello. Brodskij si precipitò fuori dall’ascensore e si avviò dritto in casa chiedendo dove fosse la cucina. Marcello pensò che stesse morendo dalla voglia di un caffè ma, quando lo raggiunse, lo trovò accovacciato sotto l’acquaio di cucina, che passava in rassegna uno per uno i contenitori di plastica. Brodskij si tirò in piedi e disse: «Bene, posso fidarmi di te; sei un uomo onesto». Dopo di che andò a fare su armi e bagagli alla pensione e si trasferì nel palazzo di Marcello.

Mentre Brodskij e gli altri due stavano finendo di cenare da Raffaele, videro il loro amico Franco Pianon con la moglie, Adriana Vianello, vogare lungo il canale sulla loro barchetta da fresco, una barca fuori serie, a forma di gondola, ma più piccola e verniciata di un colore uniforme. Pianon, un ingegnere civile, era un appassionato vogatore, e gli piaceva fare delle puntate notturne in laguna con la moglie. Chiese ai tre che stavano cenando di raggiungerli; si stiparono sulla barca e via che andarono, con Pianon a poppa che governava il timone, e Adriana che remava a prua.

Scivolarono lungo il Canal Grande e poi silenziosamente attraverso gli stretti canali di Cannaregio finché sbucarono nella parte nord della laguna. L’acqua era una lastra di vetro e la luna era così lucente che potevano vedere le isole davanti a loro. Pianon virò in direzione di Murano, l’isola dei soffiatori di vetro, e poi svoltò verso l’oscura e minacciosa San Michele, l’isola dei morti. La conversazione a poco a poco si smorzò, ognuno ora era immerso nei propri pensieri. Si sentivano solo gli schizzi lievi, ritmici, dei remi. Brodskij diceva che era soprattutto l’acqua che l’aveva portato a Venezia, e che lo induceva a tornare ogni anno. L’acqua, nelle sue parole, era l’immagine del Tempo.

 

Traduzione italiana di Monica Pavani