Italo Calvino

di

Archetipo e utopia 
della città acquatica

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Conversation with Calvino
by Ivo Prandin

 

Italo Calvino (1923-1985) was one of the most important Italian writers of the late twentieth century / è stato uno dei narratori italiani più importanti del secondo Novecento. Ivo Prandin is an Italian writer and journalist / è uno scrittore e giornalista italiano.

Courtesy «Il Gazzettino»

 

L’intervista a Calvino fa parte di una serie pubblicata da «Il Gazzettino» in una rubrica intitolata “La loro Venezia” negli anni sessanta. “Loro” erano visitatori eccellenti o personalità residenti incontrate da Ivo Prandin per la Cronaca veneziana. Le interviste diventarono un libro nel 1968, due anni dopo la “grande paura” per la drammatica acqua alta del novembre 1966.

Italo Calvino, uno dei protagonisti della nostra letteratura, da qualche tempo vive a Parigi dove ha affittato un appartamento in Square de Chatillon: è andato a respirare l’aria di un’altra cultura? O vuole più semplicemente vivere una vacanza? Comunque, è da Parigi che ha risposto ad alcune nostre domande su Venezia, «prima città antieuclidea e perciò modello di città che ha davanti a sé più avvenire» perché ha una dimensione in più, quella dell’acqua.

«Nulla dà l’idea d’una dimensione in più – dice lo scrittore di Ti con zero – quanto le case di Venezia le cui porte s’aprono sull’acqua; è sempre una sfida per la pigrizia mentale dell’uomo di terraferma abituarsi all’idea che è quella la vera porta, mentre l’altra, che dà sul campo o sulla calle, è solo una porta secondaria. Ma basta riflettere un momento per capire che la porta sul canale collega non a una particolare via acquatica ma a tutte le vie dell’acqua, cioè alla distesa liquida che avvolge tutto il pianeta. È questo che si sente nelle case di Venezia: che la porta terrestre dà accesso a una porzione di mondo limitata, a un isolotto, mentre la porta sull’acqua dà direttamente su una dimensione senza confini».

Venezia, in pratica, provoca negli uomini un particolare clima mentale, una geometria speciale, non euclidea appunto: a Venezia la linea più breve che unisce due punti, dunque, non è mai la linea retta. È questo «che scatena la nostra immaginazione per vie inconsuete; mentre sul piano delle sensazioni percettive non c’è nulla di illimitato, lo spazio si apre e si chiude davanti a noi in configurazioni sempre diverse. È appunto l’estrema diversificazione, la non-uniformità in un’esperienza omogenea lo straordinario risultato di Venezia. Non per nulla la terminologia stradale, qui, è di una ricchezza senza pari: calli campi fondamenta rive salizade sotoporteghi, ogni luogo chiede d’esser nominato con puntigliosa precisione come rivendicando la sua unicità. M’accorgo – nota Calvino – che non riesco a ricordare altrettanti vocaboli che indichino le vie acquatiche: canale, rio, e poi? O si tratta d’una minore ricettività della mia memoria oppure la nostra nomenclatura delle vie d’acqua è più povera, il lessico veneziano non rende ragione della varietà di forme in cui il labirinto lagunare ci introduce. In un caso e nell’altro la spiegazione potrebbe – suggerisce lo scrittore – essere unica: l’acqua è l’elemento unificatore, riceve la sua differenziazione dai luoghi emersi; la laguna è un livello unico, mentre fondamenta e ponti con il loro continuo salire e scendere di gradini introducono l’elemento di discontinuità che è proprio del linguaggio».

Calvino è come ossessionato da quella «dimensione in più», dell’acqua. «Vivere a Venezia prescindendo dall’acqua non vuol dire trovarsi nella condizione degli abitanti delle altre città: si vive in una città in negativo. L’immaginazione si rifiuta di raffigurarsi una Venezia asciutta: se cerco di immaginare i canali che si seccano vedo baratri aprirsi tra le rive, una città d’incubo attraversata da canyons senza fondo. Ovvero, altra sequenza dell’incubo, i canali si richiudono, si rimarginano, avvicinando le mura delle case in stretti vicoli (eppure una Venezia così esiste, la Venezia dei poveri di Castello)».

Qual è, per lei, la realtà futuribile di Venezia?«Nei progetti delle metropoli del futuro, si vede sempre più spesso apparire il modello veneziano. Per esempio, nelle proposte degli urbanisti per risolvere il problema del traffico di Londra: vie destinate ai veicoli che passano in profondità mentre i pedoni circolano su vie sopraelevate e ponti… L’acqua avrà sempre più posto nella civiltà metropolitana: nel periodo di trapasso che stiamo per vivere, in cui tante città dovranno essere abbandonate o ricostruite da cima a fondo, Venezia, che non è passata attraverso la breve fase della storia umana in cui si credeva che l’avvenire fosse dell’automobile (un’ottantina d’anni soltanto) sarà la città meglio in grado di superare la crisi e di indicare con la propria esperienza nuovi sviluppi».

Dunque, Venezia è una città del futuro, non solo del passato?«Sì, è così. E Venezia perderà una cosa, il fatto di essere unica nel suo genere. Il mondo si riempirà di Venezie, ossia di Supervenezie in cui si sovrapporranno e allacceranno reticoli molteplici a diverse altezze: canali navigabili, vie e canali per veicoli a cuscino d’aria, strade ferrate sotterranee o subacquee o sopraelevate… È in questo quadro che va visto il futuro di Venezia. Considerarla nel suo fascino storico-artistico è cogliere soltanto un aspetto, illustre ma limitato. La forza con cui Venezia agisce sull’immaginazione è quella di un archetipo vivente che si affaccia sull’utopia».